Inviare un ricorso via PEC ad una pubblica amministrazione allegando un pdf con la sola firma scannerizzata, quindi privo di firma digitale propriamente detta, non può essere motivo di inammissibilità.
Così ha stabilito la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia con sentenza n. 162/2/2020 del 29/07/2020.
Secondo la CTP, l’art. 16-bis del Dlgs n. 546/92 non stabilisce che la difformità dalle regole tecniche inerenti la firma digitale comporti espressamente l’inammissibilità del ricorso.
Da avvocato appassionato di informatica (passione iniziata dai tempi del Commodore 64), mi congratulo con la CTP di Reggio Emilia. Qualsiasi tecnicismo prettamente informatico per accertare l’identità di un ricorrente, specie se si tratta di impugnare una sanzione, è solo un pretesto. Del resto, a quale bene giuridico corrisponde l’accertamento dell’identità di un sanzionato mentre impugna la sua sanzione? Magari al bene della Pubblica Amministrazione al cospetto della Corte dei Conti, di certo non al bene dei cittadini.
Ovviamente lo stesso ragionamento può essere esteso a molte altre comunicazioni in ambito stragiudiziale, in particolare mi riferisco alle utenze (recessi, modifiche documentate e quant’altro). Perché una PEC da un indirizzo correttamente registrato ma privo di firma digitale, anzi, magari anche privo di alcuna firma, non può costituire idonea manifestazione di volontà al pari di una raccomandata? La domanda è più che lecita considerando che la contraffazione di una raccomandata, con tanto di firma “analogica”, è molto facile, a differenza invece della manomissione di una PEC. Il funzionario postale non è tenuto ad accertare l’identità di chi invia una raccomandata: non si capisce perché una PEC dovrebbe invece assolvere questa funzione.
Spesso chiamando il call center ci sentiamo dire dall’operatrice albanese di turno che la richiesta via PEC non è stata accolta perché priva di una firma accertabile oppure perché non era stata allegata la scansione del documento d’identità. Il mercato del furto d’identità non può che ringraziare questa irrazionale circolazione di documenti scansionati. Inutile dire che in questi casi la pretesa della copia del documento d’identità allegata alla PEC, così come la pretesa della firma accertabile, è del tutto immotivata e priva di alcun fondamento giuridico. Spero che mai alcun giudice, in particolare Giudice di Pace, possa anche solo in astratto sostenere una simile pretesa.
La PEC è di per sé garanzia di provenienza nettamente migliore della raccomandata, quindi è inconcepibile che venga sottoposta ad ulteriori adempimenti se non allo scopo di scoraggiarne od aggravarne l’utilizzo.