Il marchio Booking.com è stato riconosciuto valido dalla Corte Suprema in USA nonostante sia composto da due parole generiche.
Così il noto sito web dedicato alle prenotazioni è riuscito a spuntarla in una lunga controversia contro la USPTO.
La genericità del marchio può essere dunque superata dalla notorietà, o meglio, dalla sua riconoscibilità univoca da parte del pubblico. Questa è in sostanza la conclusione a cui la Corte Suprema americana è pervenuta, direi, a buon diritto.
Si aggiunge dunque anche questo ai casi limite della giurisprudenza sui marchi.
Attenzione, perché la notorietà alla lunga può generare l’effetto opposto: la volgarizzazione. Ricordiamo gli esempi accademici di Scottex, Moka, Kleenex, Cellofan o Post-it.
Tuttavia ritengo che Booking.com non corra questo rischio, visto che è saldamente collegato a un dominio web e pertanto si tratta di un’identificazione fortemente “logistica”, oltre che concettuale. In altre parole, il marchio Booking.com è “impersonificato” nel suo indirizzo web, quindi difficilmente potrà essere utilizzato per riferirsi ad un genere di servizi forniti anche da altri soggetti.
Il dominio web pertanto si conferma un’arma dedicata per lo più ai big per generare un marchio altrimenti generico (purché estremamente noto), ma si conferma per tutti anche un’arma per rafforzarlo, qualora dominio e marchio siano strettamente collegati.